La mia piccola C.
Una ragazzina, la chiamerò C.
Quel giorno venne in ufficio con i genitori, non disse una parola. La mamma mi disse che C. non voleva più andare a scuola, che si chiudeva nella sua stanza per ore e non accettava più nemmeno gli amici. Indossava un cappellino con una visiera che le copriva il volto, ma si capiva chiaramente che dentro aveva una rabbia tale che era sul punto di esplodere.
C. aveva appena 18 anni, in seguito ad un forte stress in un anno aveva perso quasi tutti i capelli.
Il padre disse che C. l’aveva massacrato di sensi di colpa dicendo che lui era calvo, e quindi era tutta colpa sua se oggi lei era costretta a vivere questo dramma.
Quel giorno parlai a lungo con i genitori di C. e decidemmo di mettere i capelli.
Ovviamente chiesi il parere della ragazza, bisognava che lei per prima accettasse questa soluzione.
Lei, ancora una volta, non disse una parole, semplicemente fece un cenno con la testa come per dire: “Sì”.
Potete immaginare il giorno dell’integrazione dei capelli: quanta agitazione vi era in quella stanza.
C. sudava, e ad un certo punto mi disse: “Questa è la mia ultima speranza”.
“Non voglio guardare, tengo gli occhi chiusi. Mamma, tienimi la mano. Papà, mi spiace per le parole dette, adesso ho bisogno di te, dove sei?”.
“C. apri gli occhi, sù, abbiamo finito: guardati allo specchio” le dissi.
Meraviglia, gioia, stupore. C. era confusa e incredula.
“Sono stupendi i miei capelli”.