La scorsa settimana ho rivisto M.
Appena ci siamo incontrati mi ha detto: “Ti ricordi di quando ho messo i capelli la prima volta? Perché non scrivi la mia storia?! Mi raccomando però, non scrivere il mio nome.”
Mi sono subito fatta una risata, ma M. ha proprio ragione.
Il giorno dell’integrazione dei capelli M. si mostrava molto calmo, ma in realtà la sua camicia aveva un’alone intorno alle ascelle.
Non faceva altro che ripetermi che a lui i capelli piacciono lunghi. Li voleva lunghi. Quasi a toccare le spalle. La sua voglia di capelli era tanta.
Personalmente provai a fargli cambiare idea, sono sincera, gliel’ho più volte sconsigliato. Ma lui aveva sempre la risposta pronta: “Io mi conosco, so bene quello che voglio.”
E allora abbiamo proceduto con la nostra integrazione.
“Sono così curioso di vedermi. Stasera i miei amici mi aspettano per un aperitivo con una bella sorpresa, non vedo l’ora di presentarmi a loro così.”
Non potete immaginare quante volte M. abbia toccato quei capelli.
“Dammi il pettine”, “Passami la spazzola”, “Provo io col phon”, “No! Non tagliare questa ciocca. Non toccarli con le forbici, li lascio lunghi, mi faccio la coda”, “Pettiniamoli con la riga di lato. No, aspetta, al centro? O tutti indietro? Se mi alzo in piedi, forse, mi vedo meglio.”
Dovetti fermarlo. Così con aria sarcastica gli chiesi: “Vuoi una camomilla M.?”
Mi fissò per dieci lunghi secondi prima di scoppiare in una grossa risata. Poi mi disse:
“Lo vedi, non sto più nella pelle, questi capelli mi piacciono, mi piacciono, e ancora mi piacciono.”